
Mentre a Macomer votavamo la mozione Unesco per il riconoscimento del paesaggio della Sardegna come bene dell’umanità, a Cabras il consiglio comunale deliberava una decisa presa di posizione contro la recente decisione del Ministero per i beni culturali di trasferire i reperti di Monte Prama a Cagliari (ufficialmente per un restauro ma senza vincolo di restituzione a quella comunità).
Che il percorso avviato con l’UNESCO sia anche l’occasione per riposizionare correttamente il dibattito politico sulla piena competenza in capo a noi di tutte le prerogative che riguardano i nostri beni culturali.
——————————
OGGETTO: Mozione sul riconoscimento da parte dell’UNESCO del paesaggio culturale della Sardegna e la definizione del suo territorio quale “museo aperto”.
**************
Il Consiglio comunale
PREMESSO che la Convenzione sul Patrimonio Culturale e Naturale Mondiale, firmata a Parigi nel novembre 1972 e ratificata dall’Italia con legge n. 184 del 6 aprile 1977, definisce il concetto di patrimonio culturale e naturale e le modalità per attuare la sua protezione, stabilisce un Fondo di sostegno per le proprie attività e fissa le condizioni per l’assistenza internazionale e per i programmi educativi a favore degli Stati membri che ne fanno richiesta.
La Convenzione prevede che i beni che ne sono oggetto possano essere iscritti nella Lista del Patrimonio Mondiale alternativamente come patrimonio culturale, patrimonio naturale e paesaggio culturale;
RILEVATO che i paesaggi culturali sono definiti come i paesaggi che rappresentano “creazioni congiunte dell’uomo e della natura”, così come definiti all’articolo 1 della Convenzione del 1972, e che illustrano l’evoluzione di una società e del suo insediamento nel tempo sotto l’influenza di costrizioni e/o opportunità presentate, all’interno e all’esterno, dall’ambiente naturale e da spinte culturali, economiche e sociali. La loro protezione può contribuire alle tecniche moderne di uso sostenibile del territorio e al mantenimento della diversità biologica”;
CONSIDERATO che i Paesi firmatari della Convenzione possono proporre la candidatura di nuovi siti per l’iscrizione nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO a condizione che soddisfino uno o più dei seguenti criteri:
(i)
Rappresentare un capolavoro del genio creativo dell’uomo.
(ii)
Mostrare un importante interscambio di valori umani in un lungo arco temporale o all’interno di un’area culturale del mondo, sugli sviluppi dell’architettura, nella tecnologia, nelle arti monumentali, nella pianificazione urbana e nel disegno del paesaggio.
(iii)
Essere testimonianza unica o eccezionale di una tradizione culturale o di una civiltà vivente o scomparsa.
(iv)
Costituire un esempio straordinario di una tipologia edilizia, di un insieme architettonico o tecnologico o di un paesaggio che illustri uno o più importanti fasi nella storia umana.
(v)
Essere un esempio eccezionale di un insediamento umano tradizionale, dell’utilizzo di risorse territoriali o marine, rappresentativo di una cultura (o più culture) o dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, soprattutto quando lo stesso è divenuto per effetto delle trasformazioni irreversibili.
(vi)
Essere direttamente o materialmente associati con avvenimenti o tradizioni viventi, idee o credenze, opere artistiche o letterarie dotate di un significato universale eccezionale.
(vii)
Presentare fenomeni naturali eccezionali o aree di eccezionale bellezza naturale o importanza estetica.
(viii)
Costituire una testimonianza straordinaria dei principali periodi dell’evoluzione della terra, comprese testimonianze di vita, di processi geologici in atto nello sviluppo delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre o di caratteristiche geomorfiche o fisiografiche significative.
(ix)
Costituire esempi significativi di importanti processi ecologici e biologici in atto nell’evoluzione e nello sviluppo di ecosistemi e di ambienti vegetali e animali terrestri, di acqua dolce, costieri e marini.
(x)
Presentare gli habitat naturali più importanti e significativi, adatti per la conservazione in situ della diversità biologica, compresi quelli in cui sopravvivono specie minacciate di eccezionale valore universale dal punto di vista della scienza o della conservazione.
OSSERVATO che la Sardegna, terra antichissima in cui le prime presenze di insediamenti umani sono databili nel “paleolitico inferiore” (400.000 – 120.000 a.C.), offre tutt’ora un complesso culturale, architettonico, paesaggistico unico al mondo per la quantità e varietà di “testimonianze” provenienti dal passato che esaltano l’unicità e la varietà naturale e culturale dell’isola al punto da essere annoverabile quale vero e proprio “museo all’aperto”;
ACCERTATO che a partire dal 2.000 a.C. in Sardegna si registra una imponente affermazione di quello che viene comunemente definito come “megalitismo”, ossia un fenomeno complesso che dal Neolitico si sviluppa anche in Sardegna attraverso il lungo percorso della più emblematica civiltà dell’isola, che ha trovato il suo culmine nell’età nuragica, dove il nuraghe rappresenta un capolavoro del genio creativo umano;
SOTTOLINEATO che la densità media dei nuraghi consente di affermare che ci troviamo di fronte a una civiltà di grandi costruttori, che hanno plasmato il paesaggio dell’Isola apportando una testimonianza unica e eccezionale della tradizione culturale dell’antica civiltà Sarda;
EVIDENZIATO che in Sardegna, nel periodo fra il IV e il I millennio a.C., si svilupparono una serie di culture umane che oggi si individuano nell’enorme e diffuso lascito dei suoi manufatti, quali interi campi e isolati Menhir, frequentemente con simboli antropomorfi, sacri o rituali; dolmen, circoli megalitici e almeno tremila e cinquecento Domus de Janas; circa diecimila torri nuragiche, di cui innumerevoli semplici o complesse, il cui numero nel tempo è andato progressivamente a diminuire a causa deperimento naturale o di distruzioni incontrollate; emergenze di piccoli o grandi villaggi, dotati di particolari necropoli comunitarie denominate Tombe dei Giganti, di cui residuano circa un migliaio di siti riconoscibili; sacrari federali e una rete di templi, pozzi, fonti e opere idrauliche, denominate sacre nella tradizione. Ricorderemo la “Cultura di Bonu Ighinu” (4.200 a.C.), “la Cultura di Ozieri” (3.700 a.C.), la “Cultura di Filigosa” 2.900 a.C. e che prende il nome dalla omonima località situata nel nostro Comune entro i cui confini è stata, peraltro, anche rinvenuta la “veneretta di Macomer”, la più antica scultura antropomorfa raffigurante la dea madre ritrovata in Sardegna e collocabile nel neolitico antico, coincidente con la Cultura di Bonu Ighinu.
EVIDENZIATO come il paesaggio del territorio di Macomer (foglio IGM 206 , quadrante I, orientamento N-O, Macomer, dela Carta d’Italia al 25.000 dell’Istituto Geografico Militare di Firenze) si caratterizza per una presenza imponente di tracce archeologiche annoverando 8 necropoli a domus de janas; 6 dolmen; 1 muraglia megalitica; 3 ripari sottoroccia (ubicati nel costone basaltico sovrastante il Rio S’Adde, ben note alla letteratura archeologica per il rinvenimento della celebre Veneretta, luoghi dai quali provengono le più antiche testimonianze della vita dell’uomo su queste terre); 1 menhir; 10 tra protonuraghi e nuraghi a corridoio; 56 nuraghi monotorri; 6 nuraghi complessi; 10 nuraghi incompiuti; 16 tombe di giganti; 17 betili; 2 fonti nuragiche (fonte: Isabelle Paschina, Monumenti archeologici del Marghine, 2005) caratterizzando il nostro paesaggio ed attestando il nostro comunale, così come l’intera regione storica del Marghine, come uno dei più importanti ambiti archeologici dell’intera Sardegna;
CONSIDERATO che la valenza delle torri nuragiche è stata già apprezzata dall’UNESCO quando, nel 1997, inserì la reggia nuragica Su Nuraxi di Barumini nel World Heritage List con la seguente motivazione:
“ i nuraghi della Sardegna, dei quali Su Nuraxi è il più importante, costituiscono una risposta eccezionale a delle condizioni politiche e sociali particolari. Mettono in luce l’utilizzo immaginativo e innovativo dei materiali e delle tecniche a disposizione di una comunità insulare preistorica”.
Fa riflettere, sul valore riconosciuto dall’UNESCO all’area archeologica Su Nuraxi, il contestuale inserimento nella WHL delle aree archeologiche di Pompei, Ercolano e Torre Annunziata e l’area archeologica di Agrigento. Il carattere di “eccezionalità” conferito a un determinato sito culturale, lo riveste di un fascino speciale, e lo dota di una capacità attrattiva e comunicativa fuori dal comune, funzionale alla sensibilizzazione delle comunità circa l’importanza dell’eredità culturale, della sua conservazione, della sua trasmissione alle generazioni future, ed infine ad un suo uso intelligente e sostenibile, capace di trasmettere valore economico, oltre che culturale, al territorio di pertinenza.
TENUTO CONTO che l’Isola può essere identificata dal Neolitico all’età del Ferro come importante crocevia di fenomeni culturali e commerci, oltre che centro di emanazione culturale e fulcro accentratore del commercio del rame, con la costituzione di un vero e proprio monopolio dei costruttori di nuraghi delle rotte commerciali dei metalli;
RICORDATO che la citata fittissima rete di monumenti – caratterizzata da allineamenti visivi ed astronomici ancora evidenti – ha permeato e permea il paesaggio dell’intera isola e le culture delle popolazioni che l’hanno vissuta e tuttora la abitano. Popoli che sono parte integrante del paesaggio naturale, scarsamente antropizzato e con porzioni territoriali a volte in via di spopolamento. Paesaggio sempre vario e ricco di monumenti naturali, grotte carsiche, falesie, tafoni granitici, tacchi, colate laviche di basalto o di ossidiana, boschi e macchia arbustiva da tutelare, grandi e generose piane;
VALUTATO che questo patrimonio, che può essere definito come PAESAGGIO CULTURALE, pur aggredito in tanti modi dal susseguirsi delle occupazioni esterne, delle attività degli stessi abitanti e dello sfruttamento delle risorse, ancora oggi si presenta come un continuum archeologico che si distingue per la sua evidente UNICITÀ;
CONSIDERATO che questa articolata e diffusa ricchezza, dalla complessità spesso non facilmente accessibile, non è stata riconosciuta per il suo valore complessivo, integrato, da tutelare e valorizzare e l’evidenza dimostra che le tecniche di tutela e valorizzazione applicate nel corso degli anni, non si sono rivelate sufficienti in rapporto alle reali necessità e all’unicità del territorio sardo, che si distingue per essere uno tra i più densamente ricchi a livello archeologico e monumentale in tutto il pianeta;
CONSTATATO che il novanta per cento di questo patrimonio appare abbandonato, spesso neanche censito in archivi pubblici, se non addirittura aggredito dalla macchia arbustiva o da alberi d’alto fusto, perennemente in stato di precaria rovina a causa dell’aggressione svolta nel tempo dal manto vegetale, ciò che paradossalmente contribuisce ad incrementare il fascino del paesaggio sardo mentre, per converso, il degrado dovuto anche all’azione di trafugatori di reperti, i quali agiscono indisturbati avvantaggiati da questo stato di abbandono, raggiunge uno sviluppo tale da comportare una perdita irrimediabile per le generazioni future e in generale per la storia dell’Umanità;
TENUTO CONTO che il 29 Gennaio 2019 l’ISTAT ha pubblicato l’annuale rapporto relativo ai siti museali ed al più complessivo patrimonio culturale presente nel territorio dello stato italiano, e sulla base dei dati rilevati per il 2017, sono presenti 206 aree e 81 parchi archeologici, dei quali ben 54 sono dislocati nel territorio della Sardegna (45 aree archeologiche e 9 parchi archeologici) pari al 18,4% del totale complessivo;
SOTTOLINEATO che le aree archeologiche, come definite dal Decreto Legislativo 42/2004 e s.m.i., Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, sono talmente diffuse che la definizione di “Museo aperto” per la totalità dell’intero territorio regionale risulta essere ampiamente giustificata;
RICORDATO, inoltre, che già nel 2008 in ambito UNESCO era stata ipotizzata la creazione di una rete tra i nuraghi e il loro complessivo inserimento nel World Heritage Found, il Patrimonio mondiale dell’Umanità ma tale ipotesi “in Regione” aveva ottenuto tiepido riscontro, così che l’idea era stata quindi riposta nel cassetto delle buone intenzioni;
SOTTOLINEATO che nel corso dei secoli il patrimonio sardo è stato devastato dall’incuria, dall’asportazione/esportazione di reperti, dal trafugamento ad opera di “tombaroli” per scopi speculativi, attività ancora non cessata, e i reperti del neolitico ed eneolitico sardo, quindi del periodo pre-nuragico e nuragico sono distribuiti nelle collezioni private e nei musei di tutto il mondo;
CONSIDERATO che le stesse attività umane di antropizzazione o realizzazione di infrastrutture, ancora nel secolo scorso e più raramente nell’attualità, si sono sviluppate a discapito della presenza di questi antichissimi monumenti: megaliti usati come materiale da costruzione per edifici pubblici e, più drammaticamente, per produrre ghiaia per strade e ferrovie;
RILEVATO che la carenza e in alcuni rari casi assenza di manufatti preistorici corrisponde in genere a terreni in cui sono stati attuati interventi di bonifica e di spietramento, ad aree fortemente urbanizzate, o a siti in cui le chiese campestri o in molti casi le stesse parrocchie, si sono sovrapposte a monumenti nuragici, a volte per mera esigenza di utilizzo dei suoi conci litici, altre volte per una forma di sincretismo religioso tra un edificio connesso ad antichi culti “pagani” e un simbolo della cristianità;
VISTE le “Linee Guida per l’implementazione della Convenzione del Patrimonio Mondiale” (Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention) che indicano i dieci requisiti ai quali il Bene oggetto di inserimento deve rispondere, nonché l’iter per l’iscrizione dello stesso nella Lista del Patrimonio Mondiale;
APPRESO che il Comitato del Patrimonio Mondiale, che si riunisce una volta l’anno, per esaminare le candidature si avvale della valutazione di tre organismi tecnici: l’ICOMOS per i siti culturali e lo IUCN per i siti naturali, l’ICCROM specializzato nella conservazione e nel restauro del patrimonio culturale. Questi organismi avviano una istruttoria tecnica che dura circa un anno e mezzo e prevede varie fasi, tra cui sopralluoghi sul posto e colloqui approfonditi con i proponenti e gli attori interessati;
CONSIDERATO che il Comitato con le sue decisioni cerca di stilare una Lista del Patrimonio Mondiale rappresentativa, bilanciata tra patrimonio culturale e patrimonio naturale, tenendo conto che non ci sono limiti al numero di siti che possono risultare iscritti complessivamente nella Lista e che hanno un certo grado di precedenza i siti che appartengono a categorie sotto rappresentate nella lista, o quelle di Stati il cui patrimonio è sotto rappresentato;
VISTA la mozione presentata nel Consiglio regionale della Sardegna volta a rappresentare al Governo nazionale l’imprescindibile esigenza di inserire il paesaggio culturale sardo nella lista di quei Paesaggi Unesco che appartengono a tutti i popoli del mondo
IMPEGNA il Sindaco e la Giunta comunale
– a porre in essere tutte le azioni necessarie affinché vengano avviate nei tempi più brevi le necessarie procedure volte a riconoscere la tutela di massimo grado del paesaggio naturale sardo, come quella che potrebbe essere garantita con il riconoscimento dell’UNESCO.
– ad attivarsi affinché i soggetti istituzionali competenti agiscano per orientare lo sviluppo della Sardegna verso un nuovo modello di sviluppo “virtuoso”, in linea con gli indirizzi di sostenibilità ambientale e sociale, di contrasto dei cambiamenti climatici, di efficientamento della società attraverso la digitalizzazione e di tutela e valorizzazione del Paesaggio Culturale….”.