IL CUORE DELLA FINANZIARIA 2017 | di Gianfranco Congiu

Come volevasi dimostrare.

Sturato l’ingorgo provocato dal valzer delle poltrone di metà legislatura, ecco che in consiglio regionale si riaffaccia la politica: manovra di bilancio, legge sul precariato, lavoratori del Parco geominerario, assestamento di bilancio etc…

Con un po’ di ritardo abbiamo iniziato a  ragionare sulla finanziaria.

Sappiamo che quest’anno si aggirerà in­tor­no ai 7,5 mi­liar­di o poco più; che troveranno ingresso i primi 230 mln del Patto per la Sardegna ma graveranno accantonamenti per 600 mln; che la sanità assorbirà la metà delle risorse con una crescita della spesa sociale. La restante in gran parte è fagocitata dalle spese di funzionamento, oneri, mutui etc.  Una manovra finanziaria stretta, anzi strettissima.

L’assessore Paci ritiene che, comunque,  ci siano spazi di manovra quantomeno pari alle maggiori entrate (50 mln).  Sono scettico, penso che alla fine sarà molto ma molto meno, ma non è questo il punto.

Il punto è: come si deciderà di impiegare il montante finanziario effettivamente manovrabile?

Si aprirà il mercato delle vacche (piccole sommettine per piccoli interventini nei piccoli potentati territoriali) o la maggioranza saprà ritrovarsi all’interno di un progetto politico utile per tutti i sardi?

Dico la mia partendo da un presupposto: le varie politiche di flessicurezza (welfare to work, flexicurity e, per certi versi, garanzia giovani) si sono rivelate alternativa inadeguata o, peggio,  vissute come una surretizia forma di ammortizzazione sociale.

Nate sui primi degli anni 90 nei Paesi Bassi e affermatesi soprattutto nel nord Europa (Danimarca)  esse fanno leva principalmente su due fattori:  il riconoscimento di una dignitosa e robusta indennità di disoccupazione nei periodi di inattività lavorativa (security) e  una parallela formazione continua per consentire al lavoratore di poter trovare nuova occupazione in ogni momento della sua vita (flexy).

Colonna portante delle attuali politiche europee sul lavoro, le politiche di flessicurezza  mostrano oggi dei limiti  che da noi, più che altrove, lo rendono strumento inefficace sebbene intelligente.

La inefficacia è data dal fatto che queste politiche hanno bisogno di una rete di aziende numericamente consistente,  in grado di far ruotare e assorbire la richiesta di occupazione, presupposto che in Sardegna viene meno impietosamente giorno  dopo giorno.

La conseguenza è sotto gli occhi di tutti: imprese in grave sofferenza, lavoratori espulsi dal mercato dal lavoro talvolta irreversibilmente, insicurezza e disagio  sociale diffusi.

E’ fin troppo evidente che in un quadro come questo obiettivo nobile della manovra di bilancio dovrebbe essere innanzitutto  quello di implementare le politiche di “sicurezza lavorativa” non adeguatamente fronteggiate.

Come?

Personalmente investirei sui Piani territoriali e sulla cantieristica ad alto impatto sociale.

I primi, rivolti alle imprese e agli operatori economici, incidono sui fattori di produzione della ricchezza.

I secondi  come  alternativa agli strumenti di flessicurezza.

Sotto il primo profilo sarà, pertanto,  urgente e necessario chiudere a breve tutti i piani territoriali già pronti; sburocratizzare le procedure; costituire per ogni piano territoriale una task force con personale dedicato per l’esame dei progetti. Insomma : accelerare la spesa.

In secondo luogo investirei sulla cantieristica finalizzata o ad alto impatto sociale,  per dare quelle risposte in termini di sicurezza che le politiche di flessibilità non hanno garantito.

E’ un dato di fatto che la Sardegna da qualche anno svolge un ruolo di supplenza rispetto ad una inesistenza della Stato sulle politiche di welfare. Capisco che negli anni si è fatto abuso delle varie CIG, CIGS, deroghe, proroghe e quant’altro ma oggi si è passati all’eccesso opposto con la fine (per decreto) degli ammortizzatori sociali (dal 1 gennaio 2017 sparirà anche la mobilità (clicca qui)  a  cui non ha fatto seguito il decollo delle politiche di flessicurezza.

Questo alla base del corto circuito che alimenta il senso di abbandono e di insicurezza sociale.

Per contro la cantieristica comunale è stata, invece, una esperienza che, in questi anni di progressivo allontanamento dello Stato, ha dato risultati estremamente apprezzabili e misurabili: risorse certe messe a disposizione delle amministrazioni locali in progetti di valorizzazione ambientale e da queste spese agevolmente con l’impiego “in utilizzo” dei lavoratori in attesa di ricollocazione (molti di loro accompagnati alla pensione).

Quindi non più sussidi ma risorse per progetti a valenza territoriale.

Oggi quella favorevole esperienza non solo deve essere  conosciuta, ma deve essere protetta e messa a sistema.

Ieri la valenza territoriale coincideva con la tutela ambientale e la riforestazione in aree deindustrializzate.

Oggi si esplorano, anche in un rapporto di coprogettazione tra amministrazioni comunali e terzo settore, campi integrativi ad alto impatto sociale in cui la pubblica amministrazione non riesce a dare risposte puntuali ed efficaci:

– Educazione e istruzione,  dispersione scolastica
– Accoglienza e inserimento sociale di soggetti svantaggiati e vulnerabili
– Assistenza sanitaria e socio sanitaria
– Accompagnamento e assistenza sociale
– Cultura, turismo e ricreazione
– Inclusione sociale e pari opportunità
– Promozione della cittadinanza attiva e partecipata
– Protezione civile
– Protezione dell’ambiente
– Sport
– Sviluppo economico e coesione sociale
– Tutela e protezione dei diritti e contrasto alle discriminazioni
– Tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale.

Questa una  mia personale chiave di lettura per una manovra di bilancio che deve servire per  dare risposte, auspicabilmente utili a tutti rispetto alla gravità del momento.

Ps.: personalmente firmo il mandato politico per impugnare la legge di stabilità italiana e magari ridiscutere quell’accordo del 2008. Una specie di patto leonino con il quale lo Stato, per “favorire” il riversamento delle nostre quote di gettito – sbadatamente rimasti per lunghi anni nelle casse del Tesoro italico – ci chiese di farci carico della continuità territoriale e della sanità, accordo che sempre lo Stato pretende che rimanga intonso nonostante sappia perfettamente che negli ultimi anni è comparsa una voce di costo inedita – farmaci innovativi e salvavita – che costano alla Regione circa 50 mln all’anno mentre in tutte le altre regioni dell’impero romano sono a carico del sistema sanitario nazionale.

Non solo, quindi, mi pago la sanità e i farmaci innovativi, ma in più concorro al pagamento dei farmaci e della sanità delle altre regioni e al ripianameno del debito pubblico italiano.

Mi pare francamente troppo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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