
Quella di quest’anno sarà la Finanziaria della consapevolezza.
Da tempo diciamo che è giunto il momento di aggiornare i nostri rapporti con il governo italiano, rapporti frutto di atti negoziali ormai desueti e che devono essere necessariamente rivisti.
Da tempo diciamo che, da un lato, non è più possibile pretendere che la Sardegna si faccia carico della sanità (che da sola assorbe la metà del bilancio regionale), della continuità territoriale, che alimenti e sostenga l’università, la scuola, il sociale, il welfare, gli investimenti produttivi imponendole accantonamenti al pari di regioni che, viceversa, hanno una sanità a totale carico dello Stato, non soffrono il problema dei collegamenti con la terraferma, non soffrono il nostro disagio sociale.
Quel patto va rivisto.
Circa 680 milioni di euro sono il peso degli accantonamenti (risorse vere e non spendibili perché destinate al risanamento dei conti pubblici italiani);
circa 60 milioni di euro il costo dei farmaci innovativi a nostro totale carico, benché voce di costo non inserita nel famigerato accordo Soru Prodi del 2008.
A questo vanno aggiunti i nuovi LEA (livelli essenziali di assistenza nella sanità) dei quali la regione deve farsi carico; il piano di risanamento del deficit della nostra sanità al quale ci siamo volontariamente obbligati nella consapevolezza che così non si potesse più andare avanti.
Quella di quest’anno sarà la finanziaria della consapevolezza. Anzi lo è già.
Nel ciclo delle audizioni che la 3^commissione consiliare (bilancio) sta portando avanti proprio in questi giorni, questi e altri numeri vengono puntualmente snocciolati da tutti i portatori di interessi (sindacati, associazioni datoriali, terzo settore, cooperazione sociale) e l’apertura di una fase rinegoziativa e’ un punto di caduta politico già condiviso.
Se, quindi, sino a ieri noi del Partito dei Sardi teorizzavamo – quasi in solitudine – la rivisitazione dei rapporti con lo Stato (enfatizzandone la slealtà e i picchi di iniquità) oggi quel dato politico inizia ad essere largamente condiviso e acquisito al patrimonio comune.
Ora o mai più, perché adesso registriamo quella generale condivisone che sta alla base di ogni grande mobilitazione di popolo.
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